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MARIE - ANTOINETTE
(MARIE - ANTOINETTE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 dicembre 2006
 
di Sofia Coppola, con Kirsten Dunst, Jason Schwartzman, Rip Torrn, Judy Davis, Asia Argento, Marianne Faithful (Stati Uniti, 2006)
 
Lost in Versailles, ha definito qualcuno il terzo film di Sofia Coppola. E non a torto perché, a questo punto, si può considerare questa rivisitazione glamour-pop delle sventurate vicissitudini della consorte di Luigi XVI come il terzo (definitivo?) capitolo di una trilogia dalle preoccupazioni e dai contenuti del tutto identici: ma dalle apparenze spettacolarmente diverse. Il che (non vorrei scomodare Stanley Kubrick, esempio sommo nel procedimento) è tutto, fuorché un difetto. Piuttosto, segno di sicura creatività, oltre che di altrettanta proficua ambizione ed energia: avvicendare, oltretutto con indiscusso savoir faire, il film fantastico (VIRGIN SUICIDIES), alla commedia agrodolce (LOST IN TRANSLATION), ed ora al biopic storico. Coniugando quel tema che sta affermandosi come la costante nella filmografia della regista: la solitudine della giovane donna, la difficoltà del passaggio all'età adulta. Meglio ancora: l'asprezza del suo confronto con una nuova realtà straniante.

Vista in quest'ottica la riuscita di MARIE-ANTONIETTE, atteso a Cannes come trionfatore predestinato e quindi, come spesso accade in quei casi, declassato a bufala da marketing, assume aspetti altrimenti interessanti. Tutto, insomma, fuorché la superproduzione storica che riproponga la vicenda, peraltro notoria della quattordicenne (!) austriaca costretta dalla ragione di stato a sposare il sessualmente riluttante Luigi XVI, odiata dalla corte ed accusata dal popolo di sperperi e nefandezze varie, fino a concludere la propria adolescenza sotto la ghigliottina. Ma uno sguardo più delicato che irriverente, più sapiente (le tesi a controcorrente della storica Antonia Fraser, l'uso della fotografia raffinata di Lance Acord, lo sfarzo asincrono dei costumi di Milena Canonero) o spaesante (le musiche dei vari Cure, Air, New Order, la recitazione disincantata non solo della brava Kirsten Dunst, ma perfino di esplosivi mostri sacri tipo Judy Davis, Marianne Faithful o Asia Argento) che violentemente dissacrante.

Probabilmente fastidiosa e fatua per lo spettatore che miri alla Rivoluzione con la maiuscola. Assai rallegrante se vista come un viaggio più malinconico che eccitante nella solitudine dell'intimo femminile; non molto diverso da quello vissuto a Tokio dalla coetanea Scarlett Johansson, tutto giocato su un'arte spericolata dell'anacronismo. A cominciare da quello cromatico della enorme melassata fucsia, verde menta e giallo canarino; che dal tempo degli spensierati festini hyppeggianti incupirà progressivamente, quando da dolci, parrucchini e babbucce firmate si tratterà di affrontare il popolino.


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